Don Corradino

Episodio dal film “Tempi nostri” - Zibaldone n. 2

di Gennaro Fiorentino

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Sulla scia del successo del film “Altri tempi” (Zibaldone n. 1) di alcuni anni prima, il 1954 esce nelle sale italiane “Tempi nostri” (Zibaldone n. 2). Il regista e la struttura dell’opera restano gli stessi del progenitore: una serie di raccontini ispirati a novelle (dell’800 nel primo caso, del ‘900 nel secondo) legati da un filo conduttore. “Tempi nostri” trova negli interventi musicali del celebre “Quartetto Cetra”, l’allegro collante dei diversi episodi che si concludono nel siparietto “La macchina fotografica” interpretato da due pezzi da 90: Sophia Loren e Totò.

Al momento della distribuzione nelle sale, ci si rende conto che il film, tutto sommato, è lungo e forse noioso. Per finalità di cassetta, s’interviene in maniera poco razionale con tagli d’interi episodi. Anche le performance del Quartetto, ne escono incomprensibili e mutilate. Ma non di meno i 90 minuti che sopravvivono, sono, a mio avviso tristi e noiosi.

Ormai alunno delle elementari, fui condotto dai miei genitori a vedere questa nuova opera del regista A. Blasetti che, malgrado la malinconia che la pervade, include altresì un episodio che mi entusiasmò e che da solo mi fece apprezzare la scelta. Dopo tanti anni, in maniera stoica pensando al poco interesse commerciale che avrebbe potuto suscitare, viene edito un DVD che restituisce completezza e coesione al film. Acquistarlo, forse uno dei pochi in Italia, mi restituisce il piacere di rivedere il racconto che, secondo me, è un vero gioiellino, animato dal desiderio di condividere con voi l’interesse e la curiosità che esso ancora oggi mi suscita. Mi riferisco all’episodio “Don Corradino” dove uno stuolo di bravi attori e caratteristi è affiancato da un inaspettato coprotagonista: un grazioso piccolo bus dell’azienda napoletana dei trasporti municipali ATAN (oggi ANM).

LA TRAMA

L’episodio è ambientato a Napoli. Don Corradino è un dongiovanni irresistibile (V. De Sica del tutto a proprio agio). Il suo contatto giornaliero come conducente di linea dell’ATAN, con l’utenza spesso femminile, gli permette di esercitare il suo fascino. Distratto dal suo ruolo di Casanova, non si rende conto che Maria (Maria Fiore) trovatella rinvenuta bimbetta tra le macerie di un palazzo bombardato, ormai in età più che adolescenziale, nutre per lui sentimenti ben diversi da quelli fraterni. Frequenti battibecchi al capolinea del 102 (Amedeo-Montesanto), sotto l’occhio severo ed intollerante del capoturno Amedeo (E. De Filippo anche autore dei testi), vengono interpretati come reazioni isteriche della difficile età della crescita.

Il bus 640 alla fermata di Piazza Dante.

Maria, stanca e delusa che i suoi messaggi forti e chiari non siano interpretati nel senso voluto, minaccia un’azione clamorosa: un suicidio dal Parco della Rimembranza e poi giù verso Trentaremi. Don Corradino, intontito e frastornato, si chiede se la minaccia del gesto estremo, sia un bluff o la reale intenzione dell’adolescente. Nel dubbio insegue la figlioccia partita a razzo con uno scalcinato taxi.

 

Maria parte con il vetusto taxi in fuga verso il Parco della Rimembranza.

 

Lo fa con il mezzo che gli ha affidato l’azienda completo di bigliettaio e passeggeri. Al capoturno non resta a sua volta che inseguire l’autista fuori di sé, con un sidecar di servizio. Così il film si trasforma in un antesignano “road movie” dove angoli popolari di Napoli diventano divertente ed indimenticabile set di questa fuga a tre veicoli. Non importa se le “locations” appaiono al napoletano irrazionali e disarticolate: lo spasso è assicurato.

 

Fuga verso Posillipo su Via Stazio non ancora urbanizzata.

La fuga termina proprio al Parco della Rimembranza dove, finalmente, Don Corradino comprende che l’amore della vita, non effimero, è proprio lì a portata di mano (o di cuore) e si chiama Maria. Con la gioia negli occhi invita tutti i partecipanti alla folle corsa conclusasi bene, ad un pranzetto al vicino ristorante panoramico che non poteva chiamarsi che “Da Gennaro”. La prospettiva di un gustoso spaghetto a vongole, rabbonirà anche l’acredine dell’irreprensibile capoturno.

Tutti a pranzo al ristorante “Da Gennaro” sul golfo di Pozzuoli e la veduta di Ischia.

ATTORI SU RUOTE

Questa è la parte più interessante del film oltre che per la straordinaria performance di tutti gli attori (protagonisti e generici). Quest’aspetto mi spiega anche il motivo del mio apprezzamento per l’episodio che di certo rivalutava le qualità del film. Comincerei dalla motocicletta con il logo in bellavista “ATAN”.

Il side car Harley Davidson all’inseguimento del bus transfuga.

Piccole ricerche esperite tra gli esperti, non hanno fugato il sospetto che mai un tal veicolo sia stato adoperato dal servizio ispettivo della locale azienda dei trasporti. Ad ogni buon conto, il noto sito IMDCB ne individua il modello in un’Harley Davidson WLA. Come si può immaginare, si tratta di un progetto realizzato per l’esercito americano. Pertanto sarebbe una moto lasciata qui dagli alleati dopo la fine della guerra. Aveva una cilindrata di 740 cc. e ne furono prodotte circa 78.000 (con piccole varianti, anche per l’esercito canadese). Un piccolo lotto era provvisto di un sidecar a forma di barchetta. In base alle foto, non l’ho per niente trovata somigliante alla carrozzetta vista nel film. Ipotizzo che questa sia stata creata ad hoc da qualche abile artigiano locale per creare un posto ad un passeggero. La mia considerazione trova conforto osservando che la moto originale militare era attrezzata per ospitare solo il guidatore, essendo priva del secondo sedile. In compenso era dotata di agile tasca per riporvi un fucile. Il taxi invece è individuabile in una Fiat 509 prodotta tra il 1926 ed il 1929. Pertanto all’epoca di produzione del film, non erano pochi i chilometri che aveva macinato sopravvivendo anche ai rischi della guerra. Ne furono fabbricate varie versioni, in riconoscimento di un progetto innovativo ed intelligente. Con una cilindrata di appena 990 cm (cubi), prometteva prestazioni interessanti a fronte di consumi contenuti.

 

Il taxi Fiat 509 arriva ansimante alla meta.

La vediamo nelle immagini in versione torpedo-taxi, ma si ricorda anche il tipo coupé, spider, militare. L’indovinato disegno, molto moderno per l’epoca, piuttosto agile e sinuoso, convinse il poeta G. D’Annunzio ad affermare che l’automobile è di genere femminile. E così fu per sempre. E veniamo al terzo attore su ruote. Si tratta dell’esemplare di una piccola serie del modello Fiat 640 RNU, carrozzato Garavini, derivato dall’analogo veicolo interurbano. La serie immatricolata nel 1950 presso il parco ATAN, consisteva in 12 esemplari numerati da 251 a 262 (poi 301 a 312). Si trattò di un bus con la capacità di una dozzina di posti che avevano la pretesa di massimo confort dei passeggeri, grazie ad un’accettabile imbottitura.

Immagine da collezione di due 640 all’incrocio della Questura.

Quello presente nella pellicola recava il numero 258. Nella finzione scenica, svolgeva servizio sulla linea 102: una linea realmente esercita sul percorso Amedeo-Montesanto. A dire il vero, la spiccata maneggevolezza del bussetto, lo resero idoneo anche per altri itinerari quali il 101, il 123, il 138, il 139. Questi servizi si distinguevano per una contenuta frequentazione coniugata con un cammino spesso costituito da strade strette. Alla fine della loro carriera nel 1962, alcuni esemplari furono ceduti ad un piccolo noleggiatore dell’area vesuviana. La maggior parte fu destinata ad una rottamazione, tutto sommato, precoce. Le scene tratte dal film, ne evidenziano agili evoluzioni in zone della città, dove oggi appare complicato forse anche passarci a piedi. Ciò è dovuto alla prepotente invasione del traffico privato, della sosta selvaggia ed una debordante ingerenza di cose e persone sulla pubblica via. I contesti all’occhio del conoscitore dei luoghi appaiono per lo più incoerenti e disarticolati. Ma poco importa. Il divertimento è garantito apprezzando l’agile montaggio che ha tenuto d’occhio più lo spettacolo che la logica topografica.

PICCOLE NOTE TECNICHE

Pur utilizzando un vero e proprio autobus nelle scene all’aperto, per girare il film ci si è avvalsi anche di un simulacro del bus, per circostanze particolari previste dal copione. Mi riferisco a quelle riprese dove sono inseriti primi piano dei passeggeri. Ma in tutti questi casi, è stato retro-proiettato un cosiddetto schermo trasparente per dare l’illusione di un procedere di traiettoria. In tutta franchezza, considerando la mancanza degli odierni ausili di elettronica ed informatica, il risultato non è del tutto da criticare. Tanto più che le scene che accompagnano il tragitto simulato, rappresentano prospettive abbastanza aderenti al contesto. L’ausilio di un oscuro e provvidenziale tutor è stato invece utilizzato nei casi in cui il personaggio Don Corradino, simula realmente la conduzione del bus. Il capo servizio Amedeo Stigliano, interpretato da E. De Filippo, veste la divisa ufficiale dell’ATAN all’epoca. Lo stesso si può dire per il bigliettaio Raffaele (V. Caprioli). Mentre il nostro Don Corradino indossa una uniforme per così dire, fuori ordinanza che si distingue per un vistoso cappello bianco.

L’integerrimo capolinea, il bigliettaio ed il nostro Don Corradino.

Credo che questo piccolo escamotage sia servito per ben evidenziare la presenza del conducente nelle scene in cui un autentico autista, prende il posto del nostro attore.

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